Antonio Caramia possiede un potere singolare, quello di condurre lo spettatore in una dimensione parallela, quasi fiabesca, sospesa tra cielo e terra; come per un bizzarro effetto di gravità ci si ritrova a metà tra il reale e il fantastico.
Un’atmosfera decisamente irreale induce a osservare con particolare attenzione quelle isole-paesaggio, cavallo di battaglia dell’autore, che oltre a suggerire un’indubbia volontà di raggiungerle, spinge chi osserva a curiosare tra i saldi intrecci di quei secolari ulivi pugliesi.
Piccoli paradisi naturali sospesi come mongolfiere e composti di roccia sui quali l’artista costruisce dipingendoli, paesaggi dalle evidenti tipicità meridionali, straordinariamente bianchi e realizzati con la singolare pietra della Puglia, terra di origine di Caramia.
Sono isole felici e gioiose, sono le isole dell’amore, luoghi idillici dove gli amanti stringendosi le mani si conducono uniti, volteggiando sinuosi e leggeri come in un quadro di Chagall, come accade in un sogno; Caramia si fa poeta della gioia e dell’amore, l’unica forza che rende lieve lo spirito di un uomo, l’unica capace di liberare in volo il suo corpo.
Ma è su quelle stesse isole in realtà che si scorgono piccole finestre aperte sulla roccia, come sguardi sul mondo, portatori di messaggi sociali profondi e rivelatori di realtà marce e stagnanti; sono sguardi che spiano sulla terra, concepita da una prospettiva differente, estraniante, quasi a rimarcare il distacco tra i due universi, agli opposti. La visione dell’isola felice improvvisamente svanisce; al vertice di quelle “prigioni d’oro” risiede in realtà il potere, è da lì che partono gli ordini ed è proprio quello il mondo in cui tutto è concesso, ma parallelamente è in quella stessa dimensione ideata da un forte senso critico dell’artista, che tutto viene scoperto.
L’artista svela e smaschera insieme tristi realtà attraverso l’immagine di isole incantate, servendosi della tecnica surrealista che conosce e adotta in modo sapiente, l’unica in grado di compiere associazioni di pensiero di qualsiasi forma, senza alcun vincolo di tipo estetico e morale, come nell’accostamento di due elementi decisamente ricorrenti e contrastanti nella sua opera, un cielo azzurro e limpido e una luna che sbuca legata ad un filo.
L’artista pugliese sperimenta un linguaggio magico e insieme reale, naturale, altra componente determinante del suo percorso; la natura è spesso rappresentata da Caramia sotto forma di frutti che genera e offre costantemente, un fico d’India, una fragola o un peperone che accoglie nel suo intimo il tipico paesaggio pugliese bianco, fatto di trulli, frutto che svela secondo l’autore, il senso magico delle donne. Ecco il surrealismo dell’artista che compie ancora una volta curiose associazioni di pensiero che solo apparentemente o superficialmente non sembrerebbero avere alcun senso compiuto; probabilmente il senso dell’opera e quello delle donne va letto in chiave simbolica e naturalmente in buona parte immaginaria.
Il senso delle donne risiede nell’eleganza, nella sinuosità delle linee che disegna, nella semplicità di un elemento naturale. La natura è donna e madre, nutre l’uomo con i suoi frutti, è una natura capace di accogliere nel proprio grembo, suggerito da una conformazione quasi uterina dell’elemento, l’intera umanità rappresentata da un bianco paesaggio, puro come l’essenza di una donna, che contrasta con il rosso fuoco, colore per antonomasia della passione e dell’amore, della forza delle donne; Caramia interpreta questa forza nell’equilibrio che governa ognuna di loro.
Perfettamente sospese, le sue opere suggeriscono un percorso a metà strada tra la dimensione fantastico-immaginaria e quella reale, rivelando proprio nell’equilibrio compositivo, una chiave di lettura fondamentale ed insieme, il più intimo segreto dell’artista.
pubblicato su Catalogo personale di Antonio Caramia