Per Anna Urbani de Gheltof la pittura comincia dal volto, da un’espressione, quella dell’anima.
Volti umani essenziali nei tratti che li disegnano, ma profondamente espressivi e immediatamente riconoscibili come familiari. Sono i volti della sua famiglia, una generazione di artisti ed è proprio alla famiglia che si ispirerà nei suoi disegni, olio su tela.
Tratti che riflettono i lineamenti di una madre ma allo stesso tempo di una modella e insieme, musa ispiratrice dell’artista, per tutta una vita.
In ogni volto che traccia, c’è il ricordo di lei, stabile e tenace.
Uno studio attento guida le pennellate estese che quei tratti disegnano, dove è un fondo di colore blu a ricorrere in maniera costante e una forte carica espressiva, fino a giungere in una fase più matura dell’artista, verso soggetti di nature morte e paesaggi, astrazioni di quei paesaggi e tramonti, ma è sempre il volto il leitmotiv della sua pittura, quello che Anna non abbandonerà mai.
Così come non abbandonerà mai la memoria di una terra veneta, della sua terra, vista da una prospettiva aliena, astratta, in movimento, distorta e dilatata dalla velocità di un viaggio in treno, un viaggio di ritorno dai ricordi di quell’ affetto materno e distante, infinito.
È dal finestrino di quel treno di ritorno che prendono vita immagini di un sole infuocato, su tramonti azzurri; visioni fatte di quelle stesse immagini filtrate da colori vibranti, come abbagli che richiamano ancora una volta quel tenero volto e la consapevolezza di un dono immenso, quell’amore verso la pittura e verso quella stessa madre che segnerà la sua produzione e la sua stessa vita.
Ma improvvisamente nuove espressioni si scorgono in quegli abbagli di colore e in quella luce esaltata da fasci di colore bianco; la trasparenza è un effetto reso anche dall’utilizzo, in un ricerca più tarda della Urbani, della garza come della tempera e di quelle altre sperimentazioni sulla stessa tela.
Da quelle Trasparenze risalgono profili semplici ed essenziali nelle linee, echi di case e di città, rese in un effetto straordinariamente sfumato nei colori, quasi rarefatto.
Ma è quando quelle pennellate intense e sfuggevoli richiamano in vita figure sterili e immediatamente percettibili, come unite in un unico corpo e da un solo meccanismo vitale e visibile in un unico cuore al centro dei due corpi, che ci si sente vivi realmente e insieme lontani nel tempo.
È in Noi che la poetica di quel viaggio di ritorno emerge, e ancora di più quel legame indissolubile, saldo nonostante l’immagine sfalsata di quel treno, di quei ricordi in movimento, astratti.
Oscillazioni tra impressioni nitide nella memoria e confuse nei tratti disegnati; emozioni nascoste negli anfratti della mente e riversate insieme sulla tela .
I volti divengono sempre più espressivi, ma di un’espressione ormai malinconica, forse non più familiare, quasi a voler suggerire un’assenza in quegli sguardi vuoti e sognanti, ma consapevoli di un grande amore, quello tra l’artista e sua madre.
pubblicato su In Arte Multiversi Magazine